“Morpheus” un racconto breve di Mark Sandman

Quando mi sono imbattuto in questa storia breve, pubblicata sul fantastico sito e mostra online dei Morphine, non ho resistito all’impulso di tradurla in italiano. Sandman è stato un personaggio magico e influente nella scena musicale underground americana degli anni 80 e 90. In qualità di frontman dei Morphine, ha bucato le barriere della musica convenzionale e, proponendo un gruppo senza chitarre, con un basso a due corde (modificato e suonato con lo slide dallo stesso Sandman) e un sassofono baritono, ha ritagliato un nuovo genere per la sua band: il “low rock”. La storia della band è quasi perfettamente un archetipo da rock n’ roll: leader enigmatico e carismatico, semplici inizi e un successo considerevole, e anche una fine tragica, con la morte di Sandman sul palco durante un concerto a Palestrina, in provincia di Roma, nel 1999.

Sandman ha scritto questo racconto breve a 27 anni, quando era studente all’University of Massachusetts nel 1979, probabilmente come compito per l’esame di scrittura creativa. Ho spostato alla fine la nota che aveva scritto per il professore, per rendere più scorrevole la lettura. Ho messo tra parentesi quadre i pochi commenti che il professore ha lasciato in matita sul testo originale.

Vi esorto ad ascoltare la stupenda musica dei Morphine (magari come sottofondo alla lettura) e anche a guardare i due ottimi documentari che sono stati prodotti sulla band: Cure for Pain – The Mark Sandman Story e Morphine: Journey of Dreams.

Spero di aver fatto giustizia al talento di Sandman con questa traduzione nella nostra lingua.

Buona lettura.

I

Morpheus guardò con scetticismo l’agente immobiliare che si sbracciava. Sua moglie aveva trovato una casa in vendita due giorni prima e se n’era innamorata all’istante. Era una tre camere nel sobborgo di Boston, una villetta in mezzo ad altre villette identica a quella, in una via tracciata in modo simmetrico che si chiamava Crestview Lane. Ora lei era lì a fissarlo con un entusiasmo pieno di certezze.

“Oh, tesoro, è proprio perfetta: John e Doris vivono qui vicino, c’è una scuola raggiungibile a piedi per Lisa e quel nuovo centro commerciale sulla Route 128 ha tutto. Veramente, è perfetta, e quella sala è splendida, quel caminetto…”.

“Beh, mi sembra in buono stato, direi. Ma per 52 e mezzo… il mutuo… non lo so”.

L’agente immobiliare, che portava un completo marrone leggermente lucido e una cravatta a strisce da quattro soldi, si asciugò la fronte nell’umidità estiva e ricordò a Morpheus:

“Sentite signori, non vorrei mettervi fretta, ma ci sono delle altre persone interessate a questa casa. È un affare con l’inflazione che c’è in questo periodo. Ho venduto un’abitazione simile la scorsa settimana a 61”.

Morpheus ripensò alle case fatiscenti di Boston che avevano visitato fino a quel momento: compensavano con la loro originalità e il prezzo basso, ciò che questa casa offriva in termini di conformità e sicurezza anestetizzanti. Sapeva che sua moglie non avrebbe mai optato per una di quelle, per quanto gentilmente si offrisse di venire a visitarle. Chiese all’agente di aspettarli fuori.

“Ok,” rispose borbottando, “ma tra poco devo tornare all’agenzia”. Lasciò la porta d’ingresso aperta, incorniciando la coppia nel soggiorno con moquette.

“Piccola”, disse Morpheus, “non pensi che sia un po’ anonima? Con questi soldi possiamo trovare qualcosa di più vicino a Boston. Forse in quel caso si dovrebbero fare un po’ di lavori, ma poco importa”.

“Oh Morph, presto ti daranno un aumento. A Boston le scuole non sono buone e presto dovremo pensare a questo genere di cose per Lisa. È così tranquillo e sicuro qui, niente cade a pezzi e ci sono tante belle persone qua intorno. Penso veramente che sia perfetta e anche tu adorerai questo posto una volta che ci saremo trasferiti, me lo sento. C’è perfino spazio per sistemare le tue cianfrusaglie musicali in cantina”.

Morpheus trasalì a sentirla pronunciare la parola “cianfrusaglie”. È vero, non si era quasi mai esercitato con la sua chitarra negli ultimi mesi, ma non l’avrebbe in nessun caso considerata un peso superfluo. Guardò l’espressione impaziente di sua moglie, il suo grazioso naso a patata e vide che stava spingendo il seno su di lui in un modo che ormai aveva capito voler dire: la decisione è presa.

“Non sopporterò di vivere nel nostro appartamento di Boston ancora a lungo” disse lei. “Mi fa andare fuori di testa, quella gente al piano di sopra, quel barbone alcolizzato che si aggira all’entrata. Invitare persone da noi mi crea imbarazzo e non posso neppure lasciar giocare Lisa all’aperto da quando quel pervertito ha cercato di prenderla e portarla in macchina. Qui è sicuro…”.

Si stava agitando. Morpheus aprì le braccia e la avvicinò a sé. Tieni duro, pensò tra sé. “Ok, Ok, va bene, andiamo a dirgli che la prendiamo”. Uscirono camminando verso la macchina che li aspettava, tenendosi a vicenda con le braccia intorno alla vita, Mona, sua moglie, soddisfatta e Morpheus, spaventato a morte.

II

Quella notte, tornati a Boston, dopo aver messo a letto e rimboccato accuratamente le coperte alla figlia neonata, Mona e Morpheus fecero l’amore. Lei fu diligente nel tentativo di dargli piacere e Moprheus percepì un’attitudine mercenaria in quella sua aggressività. Quando, raggiunto l’orgasmo, lei gemette, lui non riuscì a non dubitare della sincerità di quei lamenti, del sussurrargli una soddisfazione sentita, del rannicchiarsi su di lui. Aspettò fino a che lei prese sonno per svincolarsi, facendo attenzione a non svegliarla. La gente al piano di sopra stava iniziando col solito litigio notturno, completato dal lancio di piatti e la televisione a tutto volume, e lui sperava che tutto quel baccano non disturbasse la bambina. Aveva bisogno di un po’ d’aria e, infilandosi nei vestiti, uscì con cura dall’edificio. Girò all’angolo di quel quartiere di condomini per lavoratori, fermandosi per estrarre e accendere una sigaretta. Si appoggiò al lampione ed espirò una boccata di fumo blu nella notte.

Dei pensieri distanti gli capitarono in mente come un chiacchiericcio: bollette da pagare, il dentista, il dottore, la macchina nuova che Mona l’aveva convinto a prendere con un finanziamento di 40 mesi. Aveva completato la formazione alla compagnia di assicurazione 6 mesi prima, memorizzando statistiche che avrebbero necessariamente convinto tutti, tranne i più sconsiderati nei confronti dei capricci programmati da Padre Tempo. Ora, per trovare i primi clienti, era costretto a prendere di mira la loro cerchia di amici, che si restringeva a poco a poco, e presentare la sua offerta tirando fuori un’aria di sincerità. Lo faceva sentire viscido e marcio, un avido di denaro. La Compagnia aveva ribadito che con il successo nelle vendite individuali, una posizione da supervisore sarebbe arrivata senza indugi, ma Morpheus si era già invischiato in una divergenza personale con il direttore commerciale e lì non si sentiva al sicuro.

Quando aveva conosciuto Mona, suonava la chitarra e cantava in una band blues & boogie e viaggiava per esibirsi in tutto il Massachusetts in un van con 10 anni di strada. L’obiettivo era farsi pubblicità, visto che la clientela di uomini ubriachi e arrapati che frequentavano i bar in cui suonavano erano interessati principalmente ad avere il ritmo giusto di sottofondo per rimorchiare. Crearsi un seguito, rafforzare l’ensemble strada facendo e poi entrare in studio di registrazione.  Sembrava che molte donne si gettassero ai suoi piedi e ai piedi degli altri ragazzi della band. Era l’antico fascino dello sconosciuto che arriva in paese e che per lavoro crea ritmi primordiali. Mona sembrava diversa, per prima cosa gli fu presentata da un conoscente in comune e poi non sembrava particolarmente colpita dal fatto che lui facesse il musicista. Nel contesto di quei bar, era così pulita e ben vestita da levarsi una spanna sopra agli altri. Ben presto, iniziò a rifiutare le avance delle groupie ed essere impaziente di tornare a Boston per vedere Mona dopo i concerti. Lei faceva molto affidamento alla “vita vera”, vale a dire al mondo del lavoro normale, fatto di caparre, mobilità sociale verso l’alto e mettere su famiglia. Anche se tutti e due provenivano dal contesto della classe media, lei si trovava completamente a suo agio nella vita convenzionale, mentre lui era più felice ai margini di quel modo di vivere.  La sua definizione di successo doveva includere la messa in gioco delle sue energie creative, affinate con precisione.

La sua band entrò in studio con un supporto finanziario esterno e produsse un ottimo album nel suo genere di riferimento. La casa discografica lo accantonò, rifiutandosi di sostenere i costi di promozione necessari all’uscita sul mercato. La band si sciolse poco dopo.

Morpheus continuò a esibirsi come chitarrista solista, ma il lavoro non era molto costante. Mona non lo scoraggiò mai direttamente, ma la sua influenza contribuì in modo sottile all’insicurezza che percepiva nel mondo della musica. Iniziò ad avere la sensazione che stava diventando troppo tardi per un trionfo artistico, che il suo apogeo era già passato. Il suo apice era essere stato per tre anni in una band da bar che non sfondò mai, adesso era ora di rientrare nel mondo reale.  Quando Mona lasciò il lavoro notturno da cameriera per lavorare in un asilo, anche lui sentì la pressione di avere orari simili. Aveva rabbrividito all’idea del posto fisso, per lui era il simbolo di una monotonia che si estendeva per tutta una vita, con preoccupazioni senza fine, nonostante l’arrivo costante delle paghe mensili. Gli americani, bombardati in ogni momento dai dogmi del materialismo, incoraggiati a consumare subito, prima che l’inflazione colpisca ancora, venivano attirati dentro la ruota del consumismo e della conformità. E sentì i suoi piedi che cominciavano a girare la ruota.

III

Morpheus attraversò la strada per evitare un gruppo di ragazzini potenzialmente problematici e iniziò a camminare a grandi passi. Buttò a terra il mozzicone della sigaretta, le cui ceneri si dispersero dentro una pozzanghera emettendo un sibilio.  Si mise a canticchiare un vecchio pezzo blues:

Went down to the cross roads,

Fell down on my knees…

[n.d.r.: Cross Road Blues di Robert Johnson]

Stava entrando in un quartiere che racchiudeva cinque bar disposti quasi uno accanto all’altro sulla stessa strada, nella maggioranza dei quali aveva suonato con la sua band. Morpheus entrò al “Nobody’s”, uno dei posti più alla mano della zona. Dentro, il posto era buio e pieno zeppo di gente che muoveva la testa e gironzolava, e si sentiva un ritmo energico provenire dal palco. Ascoltò soprattutto la chitarra e non fu soddisfatto dalla performance, sapeva che avrebbe potuto fare di meglio. Si infilò nella folla per arrivare al bancone, ordinò un Sombrero e lo mandò giù velocemente, il gusto dolce ne nascondeva il contenuto alcolico. La mano ingioiellata di una donna gli cinse il braccio, si girò e vide che era Lydia, troppo agghindata per l’occasione, con una maglietta scollata e una collana d’oro che scendeva sulla scollatura.  Lidya era una tipa maliziosa, una giovane ereditiera che aveva investito nelle registrazioni della sua band.

“Morph! Come stai?” Lo guardò dalla testa ai piedi con uno sguardo critico e sorrise.

“Ciao Lydia”. Non voleva mostrare alcun entusiasmo. Non la vedeva da quando la band si era sciolta e aveva sempre sentito di doverle qualcosa per aver investito in quella infruttuosa sessione di registrazione in studio. Lui sapeva di piacerle, ma lei era troppo pazza, una in cerca del brivido, senza particolari talenti propri. Si era modellata un ruolo di patrona delle arti, dispensando in piccole dosi il denaro ereditato a persone appetibili e che lei considerava promettenti. Morpheus sapeva che aveva finanziato da poco un album di grande successo registrato da un’altra band della zona e per questo era in uno splendido stato d’animo.  

“Dove sei andato a finire?” gli chiese, avvicinando la bocca al suo orecchio nel mezzo del frastuono tutto intorno. Morpheus non voleva raccontarle la sua situazione, imbattersi in Lydia gli aveva ricordato di quando non vedeva altro, se non un roseo futuro di successi come stella della musica. Sollevò le spalle e fece un gesto per farle capire che era troppo rumoroso per parlare, ma lei non era una che si poteva evitare così e, afferrando il cappotto da uno sgabello al bancone, quasi trascinandolo verso la porta, uscì con lui. “Andiamo fuori, dove possiamo parlare. Ti ho pensato ultimamente”. Continuava a guardarlo e a sorridere, e Morpheus si sentiva assorbito dall’esuberante fermezza del suo carattere.

Lei lo condusse verso la sua auto, una Porsche nuova, e appena furono dentro voleva sapere tutto sulle sue ultime imprese. “Come va con la musica?” voleva sapere, “Con chi suoni?”. Morpheus provò a tenersi sul vago, evasivo. Lei tirò fuori un po’ di cocaina e dopo aver sniffato un paio di righe sottili, lui si sentiva più loquace e abbozzò come era andato l’ultimo periodo, compresa la visita alla casa del pomeriggio precedente.

“Hai sposato Mona?” Lydia sembrava sconvolta. “Quella completa stronza. Ti sta rovinando”. Si mise a ridere quando lui le raccontò che vendeva polizze assicurative, accese il motore dell’auto sportiva e si buttò nel traffico. “Facciamo un giro, Morph. C’è una persona che voglio presentarti. È un’artista, sento che è a un passo dal grande successo, è bella, ha talento e riuscirò a far entrare le sue opere nelle migliori gallerie di New York”. Morpheus non resistette e le domandò se fosse una delle sue amanti femminili; non lo era, anche se a Lydia non sarebbe dispiaciuto. Disse che era solamente un’artista bella e talentuosa, e che lei voleva aiutarla.

IV

Lydia parcheggiò la Porsche e fece strada, passando attraverso un vano scale buio, fino all’ultimo piano di un’ex fabbrica. “L’edificio è un disastro”, gli confidò, “ma vedrai che posto che ha…”

Si sentiva della musica jazz provenire da dietro la porta su cui Lydia bussò. Dopo un minuto, una voce femminile, limpida e profonda, domandò chi fosse e li fece entrare. Il soffitto dell’appartamento era in realtà un enorme lucernaio che era stato pulito con fatica e a fondo, così che il cielo si vedesse perfettamente. La donna che li accolse tolse il respiro a Morpheus. Aveva profondi occhi marroni che sprigionavano una sicurezza autentica, il suo volto era incorniciato dalle ciocche di capelli lisci che le cadevano dallo chignon legato alla buona e il grande seno spingeva delicatamente fuori dal grembiule sporco di colore. La cocaina gli causò una sensazione di prudore e tirò sul col naso, a quel punto lei gli fece l’occhiolino con aria d’intesa. “Non preoccuparti, Janis”, disse Lydia, “ne ho un po’ anche per te”.

Si sedettero tutti e tre sul pavimento, Morpheus rimase in silenzio, aveva paura di parlare e rompere l’incantesimo che gli faceva tenere gli occhi incollati su Janis. Mentre preparava delle altre righe di cocaina, Lydia le presentò Morpheus quale “grande” cantante e chitarrista, e lui si sentì nuovamente inondato dall’inutilità, rammentando i suoi giorni di gloria nella band. Sorrise a Janis, la quale, percependo la sua reticenza a continuare il discorso, sorrise a sua volta. Si guardò intorno e notò le enormi tele sulle pareti e accatastate sul pavimento. Gli piacquero subito, erano dei nudi audaci raffigurati in scene erotiche e dipinti con l’aerografo.  I contorni sfumati, creati con l’aerografo, davano ai colori primari un carattere surreale. “Mi piacciono”, Morpheus fece un gesto indicando intorno a sé e pensò subito di aver fatto un commento terribilmente banale, ma lei ringraziò con disinvoltura e sorrise in segno di apprezzamento.

Lydia cominciò a parlare dei suoi piani riguardo le esibizioni in galleria, citando con nonchalance nomi importanti e grandi cifre di denaro. “Questo è il momento giusto per l’arte erotica” disse, “E ho già dei clienti interessati. Grandi cose sono in arrivo per te, mia cara. Grandi e buone cose”.

La cocaina aveva dato a tutti loro una sensazione di superiorità, di autostima estrema, e gli aveva dilatato le narici e gli occhi. Janis e Morpheus formarono un’alleanza segreta, lasciando che Lydia si dilungasse in discorsi mentre loro si guardavano. Janis non sembrava colpita da quei progetti grandiosi e stette ad ascoltare solo per educazione. Le chiese delle delucidazioni di circostanza sul trasporto delle tele e sembrò soddisfatta delle alquanto vaghe risposte di Lydia. A Morpheus ricordò di quando Lydia frequentava il suo gruppo e parlava di tour nazionali e contratti con le grandi etichette.

Il paese era impazzito per la fama. L’impulso a creare – arte, musica, letteratura – era stato fagocitato dal desiderio di entrare nel lessico comune, di diventare un nome conosciuto, di raggiungere un’immensa quantità di persone. I risultati personali erano valutati in base all’attrattività per la massa. Gli americani si sono talmente abituati alle valangate di informazioni proposte dai media, che ora le aspettano con ansia. Il gusto è diventato una merce nazionale, e tutti ne vengono imboccati a forza. Il successo nelle arti è determinato più dall’intuito nella promozione e dall’influenza posseduta nei circoli economici, che dal talento. E ciò fece pensare a Morpheus che forse l’impulso a creare, un tempo uso nobile e impegnato delle proprie energie, rappresentasse per molti soltanto il desiderio di fama e notorietà. Tutte le pop star da poltrona, le stelle del cinema, gli esperti dello sport, le celebrità a tutto tondo sedevano nei soggiorni d’America, arenata com’era nel mondo del lavoro vero, con i suoi futili sogni.  Gli opinionisti organizzati assalivano il pubblico con immagini ammalianti delle “persone comuni”, rispettate e ammirate per i loro successi nelle praterie dorate della società.

Venne riportato alla realtà dalla presenza della mano di Janis appoggiata sulla sua e le dita fredde che massaggiavano le sue. “Hai le mani da chitarrista” disse lei. Non sorrise mentre lo diceva, ma con gli occhi cercava il suo sguardo. Lui non percepì alcuna agitazione, anzi, gli sembrava che molta della tensione che si era accumulata durante la giornata defluisse via con la delicata pressione di Janis sulla sua mano. Lydia si stava spazientendo e, mentre preparava delle altre righe di cocaina, disse che era meglio che se ne andasse via di lì a breve. Morpheus quasi non la sentì e si vide specchiato negli occhi di Janis, e lei lasciò la sua mano dov’era. 

V

Sentendo il peso tremendo di una sciagura imminente, Morpheus appose la sua firma in calce a un mutuo ventennale. Armato di scarpe scintillanti e una valigetta indiscreta, durante il resto della giornata vendette due polizze assicurative globali sulla vita, un successo che lo rallegrò ben poco. La totalità dei loro risparmi era finita nell’anticipo del mutuo e tutto quello che trovò nella buca delle lettere all’entrata, prima delle scale, era una catasta di bollette. Si sarebbero trasferiti la settimana seguente e avrebbero dovuto noleggiare un furgone, inscatolare nuovamente tutti i loro averi e, cosa che gli appariva come la peggiore di tutte, avrebbe dovuto passare il resto della sua vita in un sobborgo monotono a tosare il prato e sistemare il garage nei giorni liberi. Entrando nell’appartamento vide che Mona stava preparando la cena e che Lisa, dal suo seggiolino, stava spargendo l’omogeneizzato tutto intorno. Mona gli offrì la guancia per un bacio e chiese come fosse andata al lavoro. La sua reazione soddisfatta alla notizia delle due vendite gli sembrò falsa.

Prese da sotto il letto la sua vecchia Telecaster e la collegò a un piccolo amplificatore da pratica che aveva tirato fuori dall’armadio. Vide Lisa che lo guardava, Da-Da, le parlò un po’ nella lingua dei bambini, assomigliava proprio a lui, pensò; appoggiò la chitarra al muro e la prese su e le pulì la faccia tenendola ferma. Lei si sbracciò ed emise un piccolo strillo, lui la lanciò in aria e la riprese, avvolgendola subito in un abbraccio affettuoso. “Lo faccio per te, bambina” mormorò mentre lei ridacchiava “lo faccio per te”. Mona annunciò che la cena era pronta e lui mise via la chitarra, senza averla suonata.

“Ti piace?”, Mona aveva preparato una sorta di stufato con carne di granchio; rispose che era delizioso.

“Penso che chiamerò Jack Frawley”, Jack era il suo vecchio bassista, e Morpheus sapeva che quella sera avrebbe suonato in città con una disco band alla moda.

“Morph”, disse Mona alzando lo sguardo dal piatto, “John e Doris vengono da noi stasera. Pensavo che potevamo guardare Via col vento in TV”. John era il fratello di Mona e faceva il manager in un’azienda produttrice di bulloneria. Morpheus lo considerava un uomo odioso e sua moglie una cascamorta. “Tra l’altro, possono raccontarci tutto del quartiere in cui andremo a vivere”. Morpheus continuò a mangiare in silenzio e con freddo distacco iniziò a immaginare tutta la varietà di chicche di gossip, scandali e manovre di potere suburbane che i due avrebbero potuto offrire. Si chiese come era possibile che la sua vita fosse diventata così banale. Era davvero anche lui così banale come loro? Era perché i simili si attraggono o perché l’uomo, di fronte a infinite scelte, si precipita ciecamente verso la mediocrità diffusa e si scava un cunicolo profondo nella massa di altri umani, tutti alla ricerca di percorsi che alla fine portano a circondarsi di persone nella stessa situazione? L’unione fa la forza o si tratta semplicemente di distruzione reciproca assicurata? Le legioni di giovani uomini in difficoltà, immessi nelle aziende e nell’apparato statale, gravati dai debiti e dalle responsabilità e adescati dalle promesse di un futuro roseo, erano davvero più al sicuro di quelli ai margini?

“È vero!”, Morpheus schioccò le dite e sorrise alla moglie. “Me n’ero completamente dimenticato. Va bene, nessun problema, mi vedrò con Jack un’altra volta”. Tra duecento anni, pensò tristemente tra sé. Finirono di cenare, Mona mise a letto la bambina e Morpheus riordinò la cucina. “Tesoro”, Mona lo chiamò dalla camera, “Abbiamo delle birre? Sai che a John piacciono”. Non ce n’erano e gli chiese di andare a fare un salto fuori a prendere un paio di confezioni da sei.

Mentre rovistava nella credenza alla ricerca di un po’ di spicci, il suo sguardo fu catturato dal manico della Telecaster che fuoriusciva da sotto il letto. Diede un’occhiata verso la cucina e vide Mona canticchiare dolcemente una melodia alla bambina. Preparando la chitarra senza far rumore, notò il manico rovinato dal sudore, il battipenna tartarugato tutto consumato e il segno di quella volta che, durante un raptus di euforia, era caduto dal palco. Attraversò la cucina senza essere visto e, facendo scorrere la chitarra a ridosso del muro del corridoio, annunciò “torno tra un attimo” prima di chiudere la porta e uscire dal palazzo per entrare nel buio della calda estate.

VI

Morpheus chiamò Jack, il bassista, da una cabina telefonica. Jack era contento di sentirlo e decisero che Morpheus poteva raggiungerlo subito, visto che aveva un po’ di ore libere prima del concerto. Avrebbero potuto improvvisare un po’ coi loro strumenti e parlare dei vecchi tempi. Saltellò su per le scale del palazzo di Jack e bussò ritmicamente alla porta, che si spalancò subito. Jack stava alla grande, come qualcuno ritratto sulla copertina di un disco, aveva però delle zampe di gallina intorno agli occhi, ma non facevano che accentuarne la luminosità.  “Vieni pure, vieni amico mio, Sheila, ti ricordi di Morpheus, vero?”, lei alzò lo sguardo con occhi assonnati. “Ciao Morph, com’è?”, chiese, sorridendo senza entusiasmo.

Jack rollò una canna e iniziarono subito a chiacchierare con l’affiatamento di sempre. Morpheus gli domandò come andasse con la nuova band e Jack apparì quasi imbarazzato nel precisare che si trattava di un gruppo puramente commerciale, suonavano tutte le ultime hit e tutti gli stili in voga. “Eravamo obsoleti” disse Jack, “nella vecchia band. Bisogna stare al passo coi tempi, capisci? Il blues & boogie era troppo passé, il mercato era saturo, voglio dire, eravamo bravi, forse anche molto bravi, ma non conta per il mercato. La band in cui sono adesso ha sempre date. Siamo stati contattati da alcune importanti etichette e la prossima settimana saremo in studio. Sai chi ci finanzia?” Morpheus pensava di saperlo. “Lydia!”.

Tirarono fuori le chitarre e iniziarono a suonare delle vecchie progressioni blues, e a un certo punto sentirono qualcuno bussare alla porta. “Vado io”, disse Sheila, che era rimasta sul divano ad ascoltarli distrattamente, “Sto aspettando una mia amica”.

Sheila aprì la porta e Janis la abbracciò prima di entrare. Morpheus si girò e la vide, Janis sorrise vedendolo e si sentì un po’ inquieta, proprio come Morpheus. “Voi due vi conoscete?”, chiese Jack. “Ci siamo conosciuti ieri sera”. Si misero seduti e fecero girare un paio di canne, e durante una conversazione sull’astrologia si scoprì che Morpheus e Janis erano nati lo stesso giorno dello stesso anno. Era una coincidenza sconvolgente. Non gli piaceva l’idea che esistesse un ordine cosmico, che gli eventi fossero predeterminati da un destino, ma da quando aveva conosciuto Janis, la già fragile fiducia che riponeva nell’ovvia correttezza della sua condizione lo portò a interpretare alcuni eventi come simbolici. Anche se si erano conosciuti da pochissimo, ora l’attrazione tra loro superava infinitamente il piano meramente fisico. La conversazione si spostò su altri temi e ben presto arrivò il momento di andare al concerto di Jack.  Decisero che Sheila sarebbe andata con Jack, mentre Morpheus e Janis li avrebbero raggiunti al club più tardi. Quando i due uscirono, Morpheus le chiese come aveva conosciuto Sheila.

“Oh, Sheila e io abbiamo fatto l’accademia di belle arti insieme anni fa. Poi sono andata a studiare in Francia e sono tornata a Boston solo qualche mese fa. Tu eri in una band con Jack, vero?”

“Sì, esatto. Un po’ mi dispiace per Jack, ora suona quello che pensa che la gente voglia sentire. Appena riusciranno a raggiungere un sound coeso, la moda cambierà e diventeranno vecchi. D’altra parte però, almeno suona ancora”. Le raccontò che lavorava per una grande compagnia, che era sposato e stava comprando casa, che aveva una figlia, e che la paura era innegabile. Andò dritto al punto e le confessò che aveva un sacco di rimpianti. “Tu invece, magari farai strada con quella mostra a New York”.

“Cavolo, non so. Se la mostra avrà troppo successo, magari farò nudi con l’aerografo per tutta la vita”, rise e lui non riuscì a capire quanto fosse seria. “Ma prima di entrare vi ho sentito jammare e devo dire che siete bravi. Mi stupisce che tu ti sia allontanato dal mondo della musica. Cosa è successo?”.

“Beh, siamo rimasti in studio per un mese a registrare il disco e alla fine la casa ha deciso di non promuoverlo, l’ha accantonato. Di punto in bianco. Eravamo rimasti senza soldi e tutti si sono demoralizzati. Me incluso”. Morpheus rilevò una nota di afflizione in quel suo discorso e aggiunse con tono difensivo: “Un uomo deve pur guadagnarsi da vivere, no?”.

“E ora hai anche una figlia”.

“Anche una moglie. Ma ho questa sensazione, che loro vivano in un altro mondo”.

“Ora hai degli impegni da mantenere, devi andare fino in fondo, Morpheus”.

“Beh, non avrei potuto continuare a farmi e suonare la chitarra tutti i giorni, per sempre. ‘Non puoi fare l’hippy tutta la vita’, mio padre amava dire così. Era uno dei tormentoni di famiglia”.

“Ho il volo per New York stanotte, a mezzanotte. La mostra apre tra due giorni. Ho un milione di cose da fare”.

Morpheus prese le sue mani e si alzò, facendo alzare anche lei. Lei abbottonò le labbra alle sue, le loro bocche si fusero insieme e un sussurro di assoluto silenzio si diffuse tra loro.  Afferrò le sue curve saldamente e le avvicinò a sé. Respirarono insieme, stringendosi, provando a capire, ma senza avere veramente l’intenzione di capire, e Morpheus la guidò verso la camera di Jack e Sheila.

“Allora mi sa che non abbiamo tanto tempo, vero?”

NOTA PER IL LETTORE

Questo racconto breve [semi-autobiografico] è stato modellato sulla storia del dottor Živago di Boris Pasternak.  La storia si svolge a Boston e non contiene degli sconvolgimenti storici simili a quelli che troviamo nel dottor Živago, ma affronta la maggioranza degli stessi temi fondanti.

In questa storia, i musicisti e gli artisti rappresentano l’arte in generale, come per il dottor Živago la passione principale era rappresentata dall’arte della scrittura. La commercializzazione dell’arte sottopone i creativi a una pressione pari a quella esercitata da un governo totalitario che desidera artisti servili. In questo paese e in occidente in generale, l’artista, se intende sopravvivere, è costretto a essere sempre più servile nei confronti del gusto della massa. Il dottor Živago subisce molte altre pressioni durante lo svolgimento della storia. Le pressioni del governo rivoluzionario a conformarsi, ad adeguarsi a un sistema, sono un fenomeno universale che sé possibile trovare in disparate manifestazioni. La compagnia assicurativa è il percorso prestabilito verso la vita convenzionale, una rappresentazione della sicurezza e della felicità materiali. Tutto ciò che ti viene richiesto è dar via la tua vita firmando sulla riga tratteggiata.

La desolazione e la paura diffuse nella vita urbana in questo paese sono un’espressione più blanda della sfiducia e dei giochi di potere presenti nella vita quotidiana nell’[allora] nuovo regime comunista russo. Anche il disincanto percepito da Morpheus è un fenomeno universale, messo in atto all’interno del palco disposto dal sistema sociale in cui vive.

Più direttamente, Morpheus è un parallelo di Živago, Mona è una figura alla Tanya, Janis rappresenta Lara e Lydia è un collegamento semi-diabolico tra Morpheus e Janis, che in dottor Živago è incarnato dall’avvocato Komarovski. Mentre vagano in questo panorama di illusoria sicurezza, si manifestano gli effimeri momenti di felicità, le coincidenze e gli intrecci tra le loro vite. Spero le piaccia.  

Mark J. Sandman

30.04.79