Alle volte la vita pesa. È normale e il peso si può alleviare.

A volte la vita pesa. Ci pesano i pensieri negativi, che sono di fatto inseparabili dalla nostra natura e sono aggravati della nostra cultura.

L’uomo moderno è intrappolato nella gabbia d’oro di una società che gli impone di strapparsi un ruolo nel mondo, di essere qualcuno, di raggiungere non soltanto una posizione di soddisfazione economica, ma anche di soddisfazione esistenziale. Dobbiamo poter dire di aver seguito la nostra passione, con un lavoro che ha un impatto positivo sul mondo. E dobbiamo perseguire tutto questo col sorriso, costantemente inseguiti dall’imperativo della felicità.  I pensieri negativi e l’infelicità sono banditi dalla nostra cultura del consumismo felice e sono visiti come una fonte di debolezza e di cattivo gusto. Sono socialmente impresentabili, proprio come il lutto. Queste richieste della società contemporanea, anche se rappresentano una conquista di civiltà enorme (l’alternativa è chiara, basta aprire un libro di storia: povertà e oppressione per il 99% della popolazione) pesano molto sulla nostra salute mentale. Talvolta non ci sentiamo forti abbastanza per combattere questa battaglia costante.

Le convenzioni di oggi vogliono quindi farci vergognare dei pensieri negativi, ma la realtà psicologica umana è ovviamente ben diversa. Il malessere o l’insoddisfazione psicolgica sono paradossalmente lo stato naturale della mente. Il processo evolutivo non ha infatti fatto sviluppare le nostre menti con l’obiettivo di farci felici, ma con quello di garantirci la sopravvivenza. L’imperativo è riconoscere i pericoli ed essere costantemente allertati ai nostri bisogni. In una società moderna e complessa questa tendenza si è trasformata nella predisposizione all’ansia e al malessere psicologico, visto che i bisogni di base sono ormai tutti soddisfatti. La mente umana è in definitiva per natura una giostra di follie e incanti, il cui reale funzionamento è ancora in parte sconosciuto. Ed è per questo che non bisogna credere a ogni singola sciocchezza che ci viene in mente.

Per esempio, alcune volte ci sentiamo giù e non sappiamo neanche bene il perché. Siamo privi di energie e vogliamo solo dormire. Vediamo il mondo come una macchina insensibile e brutale, che continua il suo insensato ciclo senza pensare a noi e che forse sarebbe anche un posto migliore senza di noi. Vediamo gli altri per strada, al supermercato e invece di scorgere la bellezza e la complessità che c’è in (quasi) tutti, li percepiamo come esseri bestiali, interessati soltanto alla propria meschina e cieca sopravvivenza. Come diceva David Foster Wallace in quel meraviglioso commencement speech, ci appaiano come degli animali, delle mucche.

Altre volte ci perdiamo in ricordi rassicuranti e melanconici e tutt’altro che negativi. Spesso visioni e sensazioni dell’infanzia. Il rumore della sala giochi davanti alla casa al mare, il profumo del gel per capelli e della colonia che tuo fratello più grande si metteva e ti faceva mettere prima di andare. L’odore inconfondibile e piacevole della casa della tua vicina da piccolo, quando andavi a trovarla e ti piaceva, anche se sua madre era scontrosa. E anche ricordi più recenti, come il profumo del respiro della ragazza che avevi anni fa, quando eravate a letto e la morbidezza della sua pelle, o quell’energia incontenibile che ti ha trasmesso vedere New York per la prima volta.

La mente è la giostra in cui tutte queste sensazioni e pensieri si accavallano continuamente. È facile rimanerci intrappolati ed entrare in una spirale di pensieri spiacevoli. Non rimaniamo rinchiusi da questa trappola di nostra stessa costruzione!

Nella mia vita ho scoperto che due metodi possono aiutare ad alleggerire queste tendenze naturali ma malsane. Il primo è tenere un diario. Sembra un’attività banale, ma in realtà può essere molto potente. Intrappolare i pensieri sulla pagina mi dà sempre sollievo. La cosa importante per me è scrivere senza pensare troppo, scrivere di getto e buttare fuori il più possibile. Il secondo è la meditazione. Personalmente ho sperimentato con diverse app, incontri e registrazioni. Penso che “Waking Up” di Sam Harris sia la più efficace, ma la cosa migliore è probabilmente sperimentare finché non trovate la vostra.

Infine, se nient’altro funziona, c’è un pensiero che forse può aiutare. Quest’idea mi è venuta un giorno, osservando un gruppo di uccelli che zampettavano in giro, fuori da un laghetto. Gli uccelli non cercano un significato. Gli uccelli non hanno un significato. Gli uccelli esistono. Noi non siamo diversi. Chi dice che c’è un significato? Che va cercato un significato? Il significato è già nella vita stessa. L’esistenza è il significato. Dunque, viviamola al meglio. Qualunque cosa ciò implichi per noi.