Le promesse dei social network erano una bugia?

Da nativo digitale, ho sperimentato con i social network sin da giovanissimo. Ricordo ancora quando i più avventurosi giocavano a modellare per la prima volta la propria vita online con MySpace e Netlog. Poi sono arrivati Facebook, Twitter, Instagram e Snapchat. Nella corsa all’adozione di queste piattaforme si vede un caso classico di network effect. Una rete ha senso solo se ci sono membri a popolarla e chi per primo entra a farne parte è portato quasi naturalmente ad invitare le persone più vicine a sè ad entrare. La stessa cosa è successa in passato con il telefono ed il fax.


La promessa che queste aziende ci hanno fatto è stata che grazie a loro saremmo stati più connessi, più informati, più vivi e divertiti di prima. Dopo più di dieci anni dal boom dei social media, e dopo numerosi scandali (negli anni si sono susseguite iniziative contro i social come #deletefacebook), è venuta l’ora di chiedersi: quelle promesse sono state mantenute? Siamo davvero più connessi, informati, vivi e divertiti di prima? Qual è stato l’effetto di queste tecnologie sulle nostre vite e le nostre società?
Secondo alcuni esperti la risposta è radicale. Per Jaron Lanier l’unica alternativa che abbiamo è eliminare i social perchè il loro modello di business è costruito fondamentalmente intorno alla manipolazione e la modificazione indesiderata del comportamento degli utenti. Secondo la sua analisi gli algoritmi tendono ad amplificare le emozioni e le idee più scioccanti e hanno contribuito all’attuale polarizzazione politica. Per lui è assurdo che la comunicazione umana debba passare per un media che cerca di manipolare i suoi membri, trandone profitto al contempo. Del resto se il prodotto è gratis, è molto probabile che siano gli utenti ad essere il prodotto.


A ciò si aggiunge l’altro fondamentale problema di questo modello. Le aziende dietro ai social network guadagnano massimizzando il tempo spesovi dagli utenti, avendo quindi un forte incentivo a costruire il sito in modo che crei più dipendenza possibile nei suoi utilizzatori. Di fatto i social media hanno creato dei meccanismi psicologici inconsci nei propri utenti. La voglia quasi irresistibile di aprire Instagram per vedere quante persone hanno visto la nostra story, l’impulso quasi inconscio ad aprire Facebook per controllare quanti hanno messo like alla nostro commento politico infuocato. Tutto questo non è un caso, ma il risultato dell’abilità dei colossi dei social di sfruttare i punti deboli della mente umana. È il risultato dello sfruttamento del sistema di ricompensa: se ci abituiamo a ricevere uno stimolo di ricompensa dopo un’azione, la ripeteremo. È quasi più forte di noi, è parte della nostra biologia. Le icone delle notifiche sono rosse non per caso. La piacevole sensazione che proviamo quando riceviamo like non è un caso, ma è un risultato del funzionamento della mente umana e queste aziende lo stanno sfruttando per fare business.
Quindi se non vogliamo diventare dei muli che inseguono la carota dei like è tempo di avere una conversazione su questi temi e forse spostarci su altri sistemi che possano permettere interazioni e comunicazione umane in modo più sano.


There’s Gotta Be a Better Way. Dev’esserci un modo migliore per sfruttare la tecnologia a nostro beneficio. Tocca a noi trovarlo.


Riccardo Lovatini